giovedì 13 agosto 2015

Tanta voglia di basket Ma i campi sono pochi

Da La Stampa del 12 Agosto 2015

Dal Ruffini agli Amici del Fiume ecco i canestri impossibili

Paolo Coccorese

Con l’invasione dei social, cambia il mondo sotto canestro. Nei campetti della città crescono gli appassionati, ma se una volta per fare due palleggi in compagnia bisognava fare la catena telefonica, oggi basta mettere un annuncio su Facebook. I «playground» più conosciuti hanno pagine a cui si accede solo su invito. Per gli altri, spesso vandalizzati, c’è l’app per lo smartphone. Poi, ci sono i «templi» del basket da strada, quattro contro quattro, che si diffondono col passaparola. Campetti dove si gioca ogni giorno dell’anno, dove i frequentatori quando si rompe un «ferro», non attendono il Comune, ma lo cambiano a loro spese. E dove non si fa caso alla nazionalità. Perchè l’unica cosa che conta è l’abilità.

La «Spa»

A spanne, sono quasi un trentina i campi pubblici da pallacanestro nei vari quartieri. Spesso, sono angoli assediati dalla ruggine e dalle erbacce come in via Venaria o via Druento. O, nel peggiore dei casi, impianti con canestri troppo bassi e pavimentazioni inadatte. In via Stampini, per esempio, hanno pensato di posizionare i tabelloni su una pista da pattinaggio. Ma non tutti sono così. E per scoprirli abbiamo risposto all’appuntamento sul gruppo dei campetti di via Braccini di Roberto Tonin, 32 anni. È uno degli assidui della famosa «Spa». «Quando non lavoro, sono qui che mi diverto. Alla “Spa”, trovi avversari più forti», racconta il geometra. 

All’americana

In via Braccini c’è una comunità di appassionati della palla a spicchi che gioca anche d’inverno. Un quarantenne di nome Roberto è il loro «sindaco» carica conquistata sul quel campo che cura come fosse il salotto di casa. Ma non solo, c’è anche la signora peruviana che vende i ghiaccioli fatti in casa, dai gusti tropicali che non trovi al bar. E le regole da rispettare. «Alla Spa si gioca a un canestro, all’americana, si arriva ai 21 e si entra in campo in ordine d’arrivo», dice Radu Draghici, 25 anni, studente. E l’arbitro? «Non c’è, i falli si chiamano alzando il braccio». 
Corso Taranto 
Ci sono altri due campi dove si respira la stessa atmosfera. Il «San Seba» nel parco di Grugliasco e quello di corso Taranto in Barriera. Vantano il gruppo Facebook privato, una volta l’anno ospitano un torneo auto-organizzato e i tabelloni sono intatti. Non è sempre così. Al Parco Dora, per esempio, sono spesso ko. «I canestri sono sempre rotti. E ci giocano a calcio», dice l’aspirante ingegnere siciliano, Nicola Saporito, 26 anni. 

Le leggende

Se alcuni campi potessero parlare racconterebbero storie da film. In corso Moncalieri, prima della trasformazione del Circolo, se eri fortunato ci ammiravi i compagni all’Auxilium dell’ex Virtus Bologna, Alessandro Abbio. «Al Ruffini, dove non si gioca perchè è da ristrutturare, il migliore era sempre Charles Muyango che è arrivato in Seria A» ricorda uno della tribù della Spa, Diego Pucciatti. Sotto canestro, fa fede un’unica regola. Le doti e la voglia di vincere. Come in piazza d’Armi, in via Braccini si mescolano i cinesi del Poli, gli Erasmus, i filippini, «Qui giochiamo tutti. E se vinci resti in campo», dice Bin Hu, 50 anni. 

Alle Vallette

Alle Vallette, invece, sono orfani di un campo. «Oltre all’oratorio, in viale dei Mughetti c’è una piastra polivalente col fondo in sintetico dove non si può palleggiare», dice Alessandro Volpe, 29 anni, presidente della Dynamica. La società vuole riportare il basket nelle scuole del quartiere. Lo stesso che negli anni Settanta vantava la terza squadra di Torino. E il mitico «Trofeo del grissinificio Costazzurra» dove si sfidarono anche gli assi americani. Alle Vallette, se le ricordano ancora le magie di Kirkland della China Martini.